Vangelo Domeniche e Festività
XXII Domenica del T.O. – Con gli ultimi è possibile recuperare il senso autentico della realtà per ripartire con entusiasmo e ritrovare la gioia ….
La regola fondamentale della mensa del Regno è questa: ʻChi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltatoʼ. Il Regno esige che lʼuomo rinunci ad ogni pretesa di salvarsi da solo, coi suoi titoli personali.
Infatti, chi mi fa ottenere un posto nella comunione con Dio non è la mia giustizia, ma prima di tutto la sua grazia. È lui allora a dirmi: ʻAmico, passa più avantiʼ (G. Ravasi, Breviario familiare-C, 214-215).
Tra gli uomini ci sono sia gli umili che i superbi, ma quelli che sono superbi non si ripromettano il regno di Dio perché chi si esalta sarà umiliato. Al posto più alto non si deve tendere per amore dell’altezza: solo mantenendosi nell’umiltà è dato di raggiungerlo. Se ti esalti, Dio ti abbassa, ma se ti abbassi, Dio ti innalza. Così ha detto il Signore e niente può essere aggiunto o tolto alle sue parole. (Agostino, Discorsi 354,8,8).
Siamo assillati dalla fatica di arrivare, di conquistare un posto nella società e dei suoi simboli … probabilmente non è questione di oggi se Gesù a un banchetto ha notato certi cercatori di posti di prestigio.
Allora, come oggi, la competizione aveva i suoi fautori e le sue vittime.
È anche vero che il progresso di persone e di popoli trova nella competizione un motore efficace.
È altrettanto vero che la competizione ha finito per ossessionarci, sia sul piano personale, sociale che internazionale.
Così il nostro giudizio su persone e popoli è condizionato da questo criterio ed apprezziamo chi ha avuto la capacità di mettersi in mostra indipendentemente dai valori vissuti; anzi certe furberie o stratagemmi non del tutto onesti vengono valutati con ammirazione se hanno raggiunto lo scopo. In altre parole chi prevale ha ragione. Il cercare o scegliere i primi posti ha in sé una perversità più o meno palese.
L’ideologia del prevalere purtroppo miete le sue vittime, sono gli scartati della società: i disoccupati, gli inoccupati, i precari, gli esodati, gli emigrati, i disadattati … l’elenco è terribilmente lungo. Se guardiamo con attenzione è la nostra società occidentale – quella che si identifica con la cultura cristiana – che ha prodotto tanta emarginazione. La nostra è una società, nel suo complesso, che cerca il primo posto, fatta di tanti che arrancando alla ricerca di un posto più elevato hanno creato lobby e centri di poteri, piccoli o grandi, leciti o illeciti.
Gesù ci offre una ricetta alquanto semplice da comprendere e tanto difficile da praticare se non rompendo gli schemi sociali che ci costruiscono.
Il primo ingrediente è mettersi agli ultimi posti, alla periferia della umanità.
È un punto di vista privilegiato, come quello dei cagnolini ai piedi del tavolo (Mt 15,27) , o di Gesù al di sotto del Sicomoro (Lc 19,5) , o ai piedi dei discepoli (Gv 13,5) , ed ancora di più quello della croce (Fil 2,8).
Scegliere l’ultimo posto fa parte della dinamica della incarnazione, il mistero stesso di Cristo che non si è limitato a regalarci parabole e parole.
Tutta la sua esperienza terrena è stata scegliere l’ultimo posto, ed ha lottato per farlo anche quando volevano farlo re (Gv 6,15) o travisavano la sua realtà di messia (Mc 8,33).Scegliere l’ultimo posto è entrare nella dinamica di incarnazione del Signore: la vera imitazione di Cristo sta proprio nell’accettare questo mistero di annichilimento e andare controcorrente nella società di oggi, sia civile che ecclesiale.
Secondo ingrediente della ricetta che Gesù ci offre è invitare i poveri alla nostra tavola.
Questo ingrediente è un po’ sibillino; a prima vista invitare a tavola gli ultimi sembra quasi mettersi in condizione di ridare dignità alle persone che l’hanno persa. Una azione umanitaria se non filantropica. Gesù stesso ci invita a dare da mangiare a chi ha fame e vestire chi è nudo (Mt 25,35) , c’è un servizio di carità da offrire ai poveri, un impegno di solidarietà e di comunione.
Su questo la Chiesa è stata maestra al mondo intero.
In questo impegno di carità c’è però un sottile sentimento di reciprocità, un contraccambio tra il dono e la gratitudine, tra ciò che è stato fatto e la soddisfazione di averlo fatto. C’è nascosto sottilmente la realtà di rimanere al primo posto per offrire, aiutare, donare, elargire …
La ricetta che il Signore ci dice nella parabola ha una prospettiva diversa: sedersi a tavola insieme nella totale gratuità.
Mettersi allo stesso livello perché i poveri, coloro che in qualche modo sono gli emarginati (non sempre privi di cose) hanno qualcosa da dirci, ci offrono un punto di vista del mondo (e del vangelo) totalmente nuovo.
Gesù è andato a casa di Zaccheo (Lc 19,7), si è fermato a mangiare con Matteo (Mt 9,10).
Scegliere gli ultimi, proprio perché esclusi, significa imparare a non escludere, a non lasciarsi abbagliare dalle apparenze o dai titoli onorifici, per stare al passo di tutti.
Questo non significa che non dobbiamo impegnarci ad alleviare, consolare e se possibile risolvere i problemi della povertà e della esclusione, ma prendere coscienza che nella Storia della Salvezza e nel Vangelo i poveri (gli Hawim) sono i depositari della verità e del rapporto autentico con Dio; più che una dimensione sociale sono una categoria teologica, sono una Verità proprio perché priva di orpelli e sovrastrutture.
Coloro che vivono alla periferia, se non ai margini di una società autoreferenziale possono insegnarci tolleranza, solidarietà, giustizia sociale, corresponsabilità.
Possono aiutarci a comprendere la sobrietà, l’essenzialità, la capacità di accontentarsi, forse anche la forza di affrontare i sacrifici necessari, con un nuovo gusto di vivere.
Con gli ultimi è possibile recuperare il senso autentico della realtà per ripartire con entusiasmo e ritrovare la gioia (il banchetto) della vita. ( Luciano Cantini )
XXI Domenica del T.O. – Gesù è la porta attraverso cui entrare nel Regno.
Come salvarsi, come essere salvati?
Questa domanda che abita il cuore di tutti gli uomini – è al centro della pagina evangelica di questa domenica.
Gesù è in cammino verso Gerusalemme, sta percorrendo con risolutezza (cf. Lc 9,51) quella via che lo porterà all’ingiusta morte di croce. A un tale che gli si avvicina e gli chiede: «Sono pochi quelli che si salvano?», egli risponde: «Lottate per entrare attraverso la porta stretta, perché molti cercheranno di entrare ma non potranno». ( E. Bianchi )
Che cosa è la porta stretta?
Istintivamente pensiamo che stretta è la porta della rinuncia, del sacrificio, per la quale ci si sforza a passare vincendo se stessi, ponendo qualche gesto significativo di austerità. Al contrario, larga è la porta che tutti preferiscono, la porta della facilità e della comodità.
C’è del vero in tutto questo, perché in realtà il Signore ci chiama alla vigilanza, al sacrificio.
Credo tuttavia che è stretta la porta di chi si accetta povero, inadeguato, fragile, senza però temere il giudizio misericordioso di Dio; di chi non ha paura di fronte agli altri né di fronte al futuro, sentendosi amato, accolto, valorizzato, riabilitato dal Signore, ed è così che uno può giocarsi.
Larga è la porta di chi non vuole aver bisogno della divina misericordia, di chi si erede autosufficiente e non si scopre, non chiede, si nasconde. ( C.M. Martini )
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I cristiani hanno imboccato la porta larga.
La fedeltà alla parola del Signore che pare abbia animato le comunità primitive, implicava la rinuncia al potere, alla ricchezza, alla cultura dominante, implicava uno stato di emarginazione nei confronti della società (come ancora accade oggi in diversi paesi del mondo). Ma ben presto le comunità cristiane hanno scelto la porta larga.
Erano molti ad aprire ed allargare le porte.
C’erano gli imperatori, le classi ricche e, perfino, gli ambienti di cultura. E così i cristiani sono entrati nella grande strada, una strada che noi chiamiamo la “civiltà cristiana”. Una strada larga, dove ci stan tutti, al punto tale che nessuno può non dirsi cristiano ( E. Balducci )
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La vita cristiana richiede sforzo, fatica, esige «la bella battaglia della fede» (1Tm 6,12): non è una lotta contro altri uomini, bensì una battaglia che ognuno di noi combatte nel proprio cuore contro le dominanti del male e del peccato (cf. Ef 6,10-17), … È la stessa battaglia combattuta e vinta da Gesù mediante la sua fedeltà alla Parola di Dio e la sua preghiera: dalla vittoria contro le tentazioni nel deserto (cf. Lc 4,1-13) alla notte del Getsemani (cf. Lc 22,39-46) e addirittura fino alla croce (cf. Lc 23,35-39), egli vive in prima persona tale lotta, e anche in questo è la porta attraverso cui entrare nel Regno (cf. Gv 10,7) !
Non si tratta dunque di compiere uno sforzo volontaristico per carpire la salvezza, ma di predisporre ogni fibra del nostro essere per accogliere il dono di grazia di Dio, «il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati» (1Tm 2,4), e a tutti offre questa salvezza in Gesù Cristo; …. Ecco perché egli parla di un padrone di casa, il Signore, il quale può aprire o chiudere la porta: il giudizio su ciascuno di noi spetta solo a lui. ( E. Bianchi )
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[ in questo padrone di casa ] la controrisposta alla parabola del prodigo. Ci avete pensato? Nella famosa parabola del prodigo, il padre si affaccia alla porta, aspetta il figlio e quando lo vede da lontano corre e poi da ordine di fare festa e così via.
È un Padre che è preoccupato della salvezza, ma è ovvio che la salvezza passa attraverso la conversione, di cui il prodigo è un illustre esemplare.
Ma questo Padre chiude la porta, voglio dire che l’epoca della misericordia non procede all’infinito, …..
Il Padre si alza chiude la porta, certo la scena qui è drammatica, direi tragica, quindi la salvezza è un fatto irrepetibile, non ci sono rimandi: il tempo della salvezza è qui fino al momento in cui io ho vita. … (Padre Aldo Bergamaschi)
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[ Dicevamo che ] il giudizio su ciascuno di noi spetta solo a lui. Ed è un giudizio che svelerà la verità profonda della nostra vita, la realtà della nostra comunione vissuta o meno con Cristo, ossia il nostro aver amato o no gli altri come lui li ha amati (cf. Gv 13,34; 15,12), gli altri in cui lui è presente (cf. Mt 25,31-46).
Questo è ciò che conta, non la garanzia che pretendiamo di acquisire in virtù della nostra appartenenza ecclesiale («Tu, Signore, hai insegnato nelle nostre piazze»), o della nostra partecipazione al sacramento dell’eucaristia («Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza»). Se non viviamo l’amore oggi, non servirà a nulla nell’ultimo giorno bussare alla porta e implorare: «Signore, aprici!»; allora ci sentiremo rispondere: «Non vi conosco, non so di dove siete … Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!».
Gesù aggiunge poi una parola di grande speranza: «Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno, e sederanno alla tavola del regno di Dio».
È il banchetto escatologico già annunciato dai profeti (cf. Is 25,6-10; 66,18-21) , aperto alle donne e agli uomini di tutta la terra.
Gesù ha inaugurato questo banchetto nel sedersi a tavola insieme a pubblicani e peccatori (cf. Lc 7,34) : con la sua pratica di umanità egli ha narrato che cos’è una vita salvata, una vita umanamente piena, capace di amare la terra e di servire Dio nella libertà e per amore.
È al termine di questa vita che Gesù ha fatto risuonare per tutti la sua promessa: «Io preparo per voi un regno, perché mangiate e beviate alla mia tavola» (cf. Lc 22,29-30) .
Questa è la meta che ci attende: l’unica condizione richiesta per prendere parte alla gioiosa festa escatologica, al «banchetto delle nozze dell’Agnello» (Ap 19,9), è la bella lotta per vivere qui e ora come Gesù ha vissuto.
«Ci sono alcuni tra gli ultimi che saranno primi e alcuni tra i primi che saranno ultimi»: quest’ultima affermazione di Gesù ci mette in guardia, è un importante monito a valutare l’oggi della nostra esistenza non secondo criteri mondani o superficiali, ma con i suoi stessi occhi.
Non dimentichiamo ciò che scriveva s. Agostino: «Nell’ultimo giorno molti che si ritenevano dentro si scopriranno fuori, mentre molti che pensavano di essere fuori saranno trovati dentro»… ( E. Bianchi )
XX Domenica del T.O. – " La PAROLA costruisce, ma contemporaneamente distrugge ciò che non ha consistenza"
Tema che accomuna la vicenda del profeta Geremia e l’insegnamento evangelico è la scelta.
Questa non è compiuta in una luce di eroicità …. ma avviene in forza di un’operazione della Parola di Dio che, simile a spada, penetra nell’intimo.
È la Parola che ha fatto di un Geremia riluttante un profeta coerente ….
È la Parola che fa del discepolo di Gesù un suo seguace, reso capace di condividere la sorte del Maestro non in forza di un entusiasmo o di un interesse ma di una sequela spoglia di tutto che accoglie in se stessa lo scandalo della croce senza annullarlo nei fiumi delle vane parole umane e dei propri ragionamenti ma accogliendolo nel nulla del proprio interiore silenzio e di una consegna fatta di debolezza e di coscienza del proprio essere peccatori.
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Nell’Antico Testamento il fuoco simbolizza la Parola di Dio pronunciata dal profeta, ma anche il giudizio divino che purifica il suo popolo, passando in mezzo ad esso. Così è la Parola di Gesù: essa costruisce, ma contemporaneamente distrugge ciò che non ha consistenza, ciò che deve cadere, ciò che è vanità e lascia in piedi solo la verità. Giovanni Battista aveva detto di lui: «Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco», preannunciando il battesimo cristiano inaugurato il giorno di Pentecoste con l’effusione dello Spirito Santo e l’apparizione delle lingue di fuoco. Dunque è questa la missione di Gesù: gettare il fuoco sulla terra, portare lo Spirito Santo con la sua forza rinnovatrice e purificatrice. «Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!»
Gesù ci dona lo Spirito … diffondendo in noi l’amore. Quell’amore che … non è terreno, ma universale come quello del Padre celeste che manda pioggia e sole su tutti, sui buoni e sui cattivi, inclusi i nemici. E’ un amore che non attende nulla dagli altri, ma ha sempre l’iniziativa, ama per primo. … ( Chiara Lubich )
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Gesù afferma … di essere venuto a portare il fuoco sulla terra. … Ed è questo stesso fuoco che ha finito per consumarlo, per condurlo cioè a una morte emblematica, frutto di una vita spesa e donata fino alla fine, fino al punto estremo. È proprio la prospettiva della morte violenta quella che Gesù evoca mediante l’immagine del battesimo, dell’immersione: «C’è un battesimo che devo ricevere, e come sono angosciato finché non sia compiuto!». Gesù comprendeva che in un mondo ingiusto il suo vivere come giusto poteva solo condurlo a essere perseguitato (cf. Sap 2), a essere immerso nell’ingiusta sofferenza e nella morte violenta (cf. Sal 69,3.15; Is 43,2) , come avverrà nell’ora della passione, un’ora da lui accolta nella libertà e per amore. Alla sua sequela anche i suoi discepoli conosceranno quest’ora,.. e dovranno rallegrarsene, certi di partecipare in questo modo alla stessa sorte del loro Signore (cf. 1Pt 4,12-16).
Gesù Cristo è davvero «un segno che viene contraddetto» (cf. Lc 2,34) , perché di fronte alle esigenze radicali da lui poste occorre prendere posizione; o si sceglie di vivere come lui ha vissuto, certi che in questo modo la propria vita è «salvata» già qui e poi per l’eternità, oppure si rifiuta la sua persona, magari continuando a dirsi cristiani: non esiste una terza possibilità! E anche la famiglia viene attraversata, come da una spada, dalla parola di Gesù che chiede un amore prioritario per lui, un amore capace di mettere al primo posto le esigenze del Regno (cf. Lc 14,25-26)… Come sarebbe triste, invece, lasciarsi vivere e giungere alla sera della nostra esistenza senza aver compreso nulla di ciò che abbiamo vissuto… ( E. Bianchi )
Assunzione della B. Vergine Maria – Lo specifico del cristianesimo è la speranza della resurrezione, la certezza che la morte non ha l’ultima parola sulle vicende degli uomini e della creazione intera.
Lo specifico del cristianesimo è la speranza della resurrezione, la certezza che la morte non ha l’ultima parola sulle vicende degli uomini e della creazione intera.
E questo per una ragione molto semplice, ricordataci da Paolo: «Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti» (1Cor 15,20); è lui «il primo nato tra quelli che sono morti» (Col 1,18), è lui che ci ha aperto la strada e ora ci attende nel Regno.
Eppure dobbiamo riconoscere la nostra enorme fatica ad aderire a questa realtà, di cui ogni eucaristia è memoriale. In altre parole, crediamo davvero nella vita eterna che ci attende dopo la nostra morte?
La festa dell’Assunzione della Vergine Maria, del suo Transito da questo mondo al Padre si colloca proprio al cuore di questa domanda.
Nel tentativo di rispondere ad essa la chiesa indivisa ha compreso fin dai primi secoli che in Maria, madre del Risorto, donna che aveva acconsentito in sé al «mirabile scambio» tra Dio e l’uomo, era anticipata la meta che attende ogni essere umano: l’assunzione di tutto l’umano e di ogni essere umano nella vita di Dio, per sempre; «Dio tutto in tutti» (cf. 1Cor 15,28). ( E. Bianchi )
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Maria è la prima che ha vissuto dopo Gesù l’esperienza pasquale del passaggio da questa vita alla vita gloriosa.
È il mistero dell’ Assunzione. ….
Vorrei quindi suggerirvi alcuni testi, che potrebbero aiutarci a comprendere come è stato il passaggio di Maria da questa vita e come è stato il suo ingresso nella gloria.
Sono questi appunto i due momenti della Pasqua: il passaggio da questa vita e l’ingresso nella gloria.
Per quanto riguarda il passaggio da questa vita, ho presente 2 Cor. 5, 8, dove Paolo dice: «Cosi dunque siamo sempre pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo ed abitare presso il Signore»; insieme con questo testo Filip. 1, 21: «Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno»; quindi il v. 23: «Sono messo alle strette tra queste due cose: da una parte il desiderio di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio…». Qui vedo rappresentato il sentimento di Maria, il suo desiderio di essere con Cristo, di essere sciolta da questa esperienza terrena, perché si manifesti in lei l’esperienza definitiva: la pienezza della visione.
La presenza di tale desiderio in Maria sta a significare che in lei Gesù ha vinto già la paura della morte. …….
Vi suggerisco un altro testo per quanto riguarda l’ingresso di Maria nella gloria: un testo che può servire per la festa dell’Assunzione: «Vieni, benedetta dal Padre mio, ricevi in eredità il Regno preparato per te fin dalla fondazione del mondo: perché ho avuto fame e mi hai dato da mangiare; ho avuto sete e mi hai dato da bere» (Mt. 25, 34).
Maria per prima ha capito che il Verbo di Dio può nascondersi in una realtà piccolissima, come quella di un bambino, e che servendo questa realtà si raggiunge la pienezza, la totalità del Verbo di Dio.
Maria ha intuito il tutto nel frammento, cosicché, servendo il piccolo Gesù e servendo il piccolo gruppo dei primi cristiani, ha servito tutta l’umanità: il suo cuore ha avuto la capacità di aprirsi a tutte le creature, qualificandosi come Madre della Chiesa, non soltanto della Chiesa che c’è, ma di quella che ci deve essere e che ci sarà, quindi di tutta l’umanità. ( Card. Carlo Maria Martini )
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La grande Tradizione della chiesa è giunta gradualmente a proclamare Maria al di là della morte, in quella dimensione altra dell’esistenza che non sappiamo chiamare se non «cielo»: Maria è terra del cielo, è primizia e immagine della chiesa santa nei cieli!
Affermare questo di Maria non richiede di compiere complesse indagini sull’evento della sua morte. Al contrario, per chi ha «un cuore capace di ascolto» (cf. 1Re 3,9), è sufficiente andare all’inizio della vicenda di Maria, narrato nel brano evangelico odierno: l’incontro tra Elisabetta e Maria, celebrato da quest’ultima con il canto del Magnificat.
È un testo dalle inesauribili profondità che, letto oggi, ci dice una cosa semplicissima e fondamentale: la vita eterna per ciascuno di noi comincia qui e ora, a misura della nostra capacità di amare ed essere amati, un amore che manifesta la verità della nostra fede e della nostra speranza. ( E. Bianchi )
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Il Magnificat non è un discorso di Maria. E’ un inno della chiesa primitiva, così come il Benedictus e il nunc dimittis. Riprende alcuni temi propri della spiritualità dei poveri del Signore – gli anawim – e li riferisce all’evento della risurrezione. Di questa spiritualità Maria è però, secondo Luca, la portatrice, la figura emblematica.
Al centro è il tema della liberazione.
Vi sono paralleli evidenti con il cantico di Anna ( 1 Sam 2,1-10 ). Vi è un riferimento a Giuditta, anche lei acclamata come “ benedetta fra le donne “ e al suo cantico che celebra la liberazione degli oppressi (Gd.13,18;16,11). Inoltre non vanno trascurate le parentele con il cantico di Miriam dopo il passaggio del Mar Rosso (Es 15,21).
Il Magnificat è un inno di gioia e riconoscenza, a non ha nulla di Idillico; la sua spiritualità è insieme pacifica e “guerriera”, dando ovviamente a questa parola un significato tutto dinamico e spirituale.
La salvezza che Dio dona al suo popolo è un fatto totale. Non si esaurisce nella liberazione in senso storico-terrestre, ma non può non prescinderne. Ogni teologia della liberazione potrebbe trovare nel magnificat il proprio fondamento. ( Lilia Sebastiani – Donne dei Vangeli )
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… La fede di Maria e il suo amore, un amore che si fa agire concreto per gli altri perché concretamente è stato sperimentato su di sé, dicono meglio di tante parole la sua capacità di vita piena, quella vita che non può esaurirsi qui sulla terra.
Questo farsi carne dell’amore di Dio e questo ingresso di ogni carne nello spazio di Dio è quanto dovremmo ricordare cantando ogni sera il Magnificat. Questo dovremmo vivere e sperare ogni giorno, per noi e per tutti. (Enzo Bianchi)
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Oggi, festa dell’Assunzione di Maria,…. mi sono fermato su due “contrasti”.
Il primo è quello tra la donna e il serpente: lei genera, genera la vita, e il serpente vuole divorare il figlio generato dalla donna.
Questo primo “contrasto” ne contiene un secondo perché la donna incinta che grida per le doglie e il travaglio del parto è figura potente di Gesù che dal grembo della Croce e dal suo doloroso sacrificio d’amore genera la nuova umanità.
Dunque mi sembra di cogliere due elementi preziosi della fede: la contrapposizione tra la potenza dell’amore che genera la vita e la violenza del Satana, cioè dell’”accusatore” che genera morte. E, in questo, il legame profondo del femminile e materno con la persona e il mistero di Gesù.
La Donna che Dio crea perché l’umanità, essendo creata a immagine di Dio, non può essere “solitudine”, ma come è Dio nella pienezza della rivelazione di Gesù, è “comunione”. E Adamo si può dire veramente creato “a immagine di Dio” solo nella comunione con la donna.
La Donna a Cana denuncia l’impedimento delle nozze perché “non hanno vino”, primo “segno” che in Giovanni Gesù dona, in relazione all’ultimo segno, quello che darà nel suo sangue.
La donna, nel travaglio del parto “significa” la fecondità della Croce e quindi il giudizio divino sulla stirpe di Caino che dà la morte, e l’elezione della nuova umanità capace di dare la vita.
Questa nuova umanità mite e feconda viene nutrita “nel deserto” della storia, come l’antico popolo di Dio è stato da Lui nutrito nel deserto del suo cammino verso la Terra. ( Giovanni Nicolini )