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Vangelo Domeniche e Festività

I Domenica di Quaresima:siamo ancora dentro la fenomenologia del peccato, di cui siamo anche contribuenti abbastanza efficaci.

Tentazioni di GesùTutta la vita di Gesù è stata una formidabile lotta, una presa di posizione decisa nel grande combattimento contro l’avversario. ….
La pagina sulle tre tentazioni diaboliche che Gesù ha vinto per noi, per ogni uomo e donna della terra, è densa di  significato…..
Esse sono infatti un simbolo di tutte le tentazioni umane, delle crisi, delle sofferenze dell’umanità.
Gesù si avvia nel deserto per lasciarsi tentare da satana e inizia un periodo di quaranta giorni di digiuno.
 Quaranta giorni evocano la marcia eroica, al limite delle forze, estenuante, del popolo di Israele che cammina nel deserto.
 Il deserto è il luogo della solitudine, dello smarrimento, della fame, ed è pure il luogo del silenzio e della preghiera. martiniGesù si rifugia nella solitudine e vive il digiuno, la penitenza, l’austerità, la fatica, la preghiera, il silenzio.
Ma il deserto è anche un luogo in cui si compiono delle scelte, perché l’uomo viene posto di fronte alle domande esistenzialmente più drammatiche.
Gesù sta per iniziare la sua vita pubblica e, in occasione di questo lungo ritiro in silenzio e in solitudine vuole decidere il suo programma: non penserà a sé, non si preoccuperà del suo corpo, non approfitterà del suo potere miracoloso, ma sarà il Messia umile, obbediente, ascoltatore della parola di Dio.
 Risponde quindi al tentatore in tre modi:
– appoggiandosi alla parola di Dio: «Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Deuteronomio 8, 3);
– rifiutando la via facile dei miracoli spettacolari ed entrando nella via nascosta e semplice del dovere quotidiano: «Non tentare il Signore Dio tuo» (Deuteronomio 6, 16);
– rifiutando ogni potere terreno, ogni successo mondano, ogni ricchezza, per proclamare il primato assoluto di Dio, primato che è la radice di tutto ciò che è giusto e retto: «Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto» (Deuteronomio 6, 13) . La negazione di tale primato è la radice marcia di una cultura incapace di difendere i valori più sostanziali dell’ onestà e di promuovere la vita là dove essa è maggiormente minacciata. ( C.M.Martini)
bladucciLa caduta del popolo di Dio, della Chiesa nella tentazione – Gesù ha vinto ma la Chiesa non ha vinto – è avvenuta quando qualcuno ha detto: «lo ti do ogni potere purché tu mi adori».
Noi siamo ancora dentro questa fenomenologia del peccato, di cui siamo anche contribuenti abbastanza efficaci, per la verità.
Questo uso del potere che ci viene concesso in nome dei cosiddetti valori dello spirito è diventato generale.
 O ci si libera da questo peccato, oppure non significa nulla tutto ciò che diciamo, anzi contribuisce al male.
 Se io, con i segni della potenza e con le garanzie della potenza attorno a me, vado a trovare popoli poveri, io tesso un filo in più alla tela Satana.
 Solo se le parole di liberazione vengono dette in una situazione liberata, con un modo di esistere liberato, esse hanno senso, altrimenti esse servono alla dilatazione dell’impero di Satana.
 E proprio qui la radice dell’alienazione umana.
 Quanto è straordinaria la parola di Gesù!
  Dicendola Egli si è crocifisso, ha scelto già la croce.
 Proiettate le sue parole nella storia evangelica e le vedrete rimbalzare: Pietro, Caifa… ovunque Gesù urta contro Satana nelle sue espressioni anche le più semplici.
 L’altra alienazione che tocca direttamente l’asse religioso dell’esistere, la conosciamo bene.
  La volontà dell’onnipotente è la tentazione radicale dell’uomo, il quale si camuffa, nasconde a se stesso la propria agilità, cancella i confini creaturali che sono i suoi confini elimina da sé l’immagine della morte obiettivandola fuori di sé come se egli fosse la vita stessa.
 Questa tentazione dell’onnipotenza trova la sua consacrazione diretta nella sicurezza che dà Dio, nel “Dio con noi”, che è la grande bestemmia della storia.
  Ogni crociata è stata un cedimento a questa tentazione.
 Tutto ciò che è stato detto dall’intelligenza antica e moderna contro la religione è scritto qui.
 Potrei rievocare in questo momento – se avessi tempo – tutte le grandi obiezioni Contro il cristianesimo e le trovo già contenute qui.
Se sono obiezioni serie esse colpiscono non tanto il modo di essere di Gesù, il suo progetto, ma le nostre falsificazioni storiche.
 Devo chiudere con almeno un accenno all’alternativa che qui si di schiude e che costituisce l’altro termine della nostra conversione.
Dobbiamo liberarci dalla schiavitù che ho descritto per approdare ad a forma di esistenza il cui senso totale è l’amore, il rigetto della violenza, è la fraternità tra gli uomini, è la mitezza.
In una società frazionata, come quella anteriore all’organizzazione industriale, certe deviazioni potevano avere i confini dello stesso gruppo umano, ma adesso che l’umanità si è fatta come un solo individuo queste deviazioni diventano smisurate e mortali.
 Se è vero, ed è vero, che l’umanità è un solo uomo – lo è nel senso empirico ormai – allora queste deviazioni non hanno più i confini che avevano in un’epoca tecnicamente ancora arretrata.
  L’uomo può distruggere per dieci volte l’umanità intera: non era mai successo. Allora le antiche deviazioni diventano la possibilità del suicidio collettivo.
La gloria di Dio non è il suicidio dell’umanità.
 Non è vero!
 La gloria di Dio è il cambiamento dell’uomo.
 Ecco perché siamo impegnati in questa conversione che non è solo un itinerario interiore, è un programma storico.
Siamo all’ultima sponda di questa storia del peccato.
Nel Vecchio Testamento, il peccato originale è narrato in undici capitoli che vanno dal paradiso terrestre alla torre di Babele.
Se dovessimo narrare il peccato originale dalle origini della storia umana fino ad oggi, la torre di Babele è la nostra grande costruzione atomica.
Da questo momento può nascere tutto: o la morte o la vita.
 Ecco il dilemma che dal tempo di Gesù si apre dentro di noi e ci pone dinanzi al tempo in cui viviamo con una lucidità assoluta e con una misura assoluta delle nostre responsabilità. ( E. Balducci )

V Domenica del T.O – Con la sua grazia Dio trasforma in fiducia il sentimento di inadeguatezza alla sua proposta.

Gettae le retiMi permetto in questa omelia di essere un po’ autobiografico, perché ho un rapporto molto speciale con il brano evangelico di oggi. È il brano che si proclamava nella liturgia domenicale della V domenica per annum del 1980, la domenica in cui celebravo, per la prima volta nella mia vita, nel Duomo di Milano, facendo l’ingresso in diocesi come arcivescovo.
Mi leggevo allora in questo brano, vedevo nella folla che «faceva ressa» intorno a Gesù le tantissime persone che riempivano la Cattedrale – erano circa 10.000 – e all’esterno gremivano la piazza.
Soprattutto sentivo, come Simone, la mia inadeguatezza: «Signore, non sono capace. Per tutta la notte ho faticato e ho preso ben poco». Sperimentavo la condizione di Pietro, umiliata e inadeguata, come la mia. E percepivo insieme che dovevo dar fiducia alla parola di Gesù, facendone programma.
«Sulla tua parola», dunque fidandomi di questa Parola, proclamandola, spiegandola. Del resto il brano comincia proprio sottolineando che Gesù predicava la parola di Dio; e tutto il testo nel suo insieme esalta la Parola, la parola di Dio predicata da Gesù e la parola di Gesù lanciata a Pietro: «Prendi il largo e calate le reti».
Per me prendere il largo voleva dire entrare in una funzione della quale non avevo nessuna esperienza, entrare in contatto con un mondo totalmente nuovo; significava un po’ passare dalla terra alla luna, cioè da un servizio di tipo scientifico, istituzionale, accademico, al servizio pastorale, ricominciando da zero, non conoscendo nessuno e nulla. Era veramente un fidarsi soltanto della parola di Gesù.
Avvertivo che mi veniva data questa fiducia dalla grazia Dio.
Non l’avevo in me, non la traevo da un’esperienza di ministero che mi mancava. Non avevo la minima idea di che cosa fosse una diocesi, avevo studiato poco il Diritto canonico perché mi ero dedicato soprattutto agli studi di sacra Scrittura. Non sapevo, per esempio, che cosa fosse una Curia o quale fosse la funzione di un Vicario generale! E tutto mi veniva offerto, messo tra le mani, con una sola assicurazione: prendi il largo, butta le reti per la pesca.
La verità della parola di Gesù l’ho sperimentata anno dopo anno, e sempre più ho visto la bellezza dell’ avventura che vivevo e dell’ essermi fidato di lui. Benché tante siano state le mie negligenze e inadempienze, tuttavia mi sembrava che le reti si riempissero di pesci, una quantità enorme, inattesa, e le reti quasi si rompevano.
A poco a poco cresceva in me il timore di essere inadeguato e dicevo: «Signore, perché questo a me? Allontanati da me che sono peccatore!».
Stupore, timore, senso di indegnità, e sempre il Signore mi diceva: «Non temere, d’ora innanzi sarai pescatore di uomini».
Questo testo ricorre una volta all’ anno nella liturgia feriale e due volte quando nella liturgia domenicale si legge il vangelo di Luca. E per tutti i 22 anni e 5 mesi in cui ho servito la Chiesa di Milano, ho rivissuto gli stessi sentimenti.
( C. M. Martini )

IV Domenica del TO: la chiesa sa capire i suoi profeti ?

Gesù tra dottoriSiamo ancora nella sinagoga di Nazaret, dove Gesù durante la liturgia del sabato ha letto la profezia di Isaia sul profeta–servo di Dio inviato a portare la buona notizia ai poveri, a proclamare la liberazione a tutti gli oppressi, a predicare l’anno della misericordia del Signore (cf. Is 61,1-2).
Gesù ha appena commentato queste parole, dicendo agli abitanti di Nazaret là presenti che esse si sono realizzate in lui.  ( E. Bianchi )
 C’è un succedersi di sentimenti, di reazioni nell’uditorio che ha dell’incredibile, dell’inspiegabile. … Dapprima stupore, meraviglia per le parole di grazia che uscivano dalla sua bocca…. Poi tutti pieni di furore … pronti a condurlo fuori e precipitarlo dal monte.
 Tra questi due momenti  una perplessità, un’esitazione: “Non è il figlio di Giuseppe costui?”.
 Che sia profeta l’uomo dell’eccezionalità, forse lo accettiamo, ma che sia profeta un figlio di falegname, uno che vedi tutti i giorni, l’uomo e la donna delle cose ordinarie, facciamo fatica ad accettarlo. E, così facendo, svuotiamo di profezia e d’importanza le cose di ogni giorno, gli incontri più quotidiani.
 “In verità vi dico che nessun profeta è accetto nella sua patria”.
 Gesù dà un criterio che vale per sempre.
Tutti i tempi conoscono l’ostracismo in patria dei profeti..
E poi succede … anche un’altra cosa, anche questa ricordata da Gesù: si rivalutano i profeti del passato, si chiede perdono per quelli cui è stata fatta violenza ieri e si continua, si persiste nell’ostracismo, nella violenza nei confronti dei profeti di oggi: pensate che cosa è successo per don Mazzolari, per Padre Turoldo, per don Lorenzo Milani.
 E ai loro nomi potremmo aggiungere nomi di teologi impegnati, illuminati, appassionati del popolo di Dio. Uomini, ma anche donne, nella cui voce era facile percepire il sussulto della profezia, delle parole di Gesù che dava per possibile un cambiamento, una svolta, un’immagine nuova, un modo diverso di pensare, di progettare, di agire. …
  Alcune delle voci che abbiamo ricordato, quanta eco  ebbero fuori, fuori dei confini istituzionali della Chiesa.
Ma perché non in patria?
Forse perché -così sembra capire dalle parole di Gesù- la patria spesso è la patria della pretesa.
“I miracoli che hai fatto a Cafarnao, falli anche qui nella tua patria”.
Una pretesa.
 Tante volte la Chiesa sembra aver ereditato il tragico destino di non capire i suoi profeti
La Chiesa che preferisce i miracoli o le visioni alla Parola di Dio, che non dà spazio alla parola, a volte scomoda, dei profeti, diventa, prima o poi, vuota di Gesù, come quella sinagoga di Nazaret. ( A. Casati )
 
La profezia non è solo parlare in nome di Dio all’umanità, ma anche portare a Dio il grido delle donne e degli uomini che pretendono una risposta.
Siamo orfani di voci profetiche che prestino le labbra al Signore della vita.
Se il silenzio di Dio ci sembra oggi più terrificante di ieri è anche perché non sempre riusciamo a intercettare presenze, vite, voci autorevoli, profonde, limpide che ci incalzino con la Parola, con il sogno di Dio, con “la verità che esce dalla sua bocca”.  ( T. Dell’Oglio )
 
 
 

III Domenica del T.O – " L'Omelia di Gesù"

sinagogaIl Vangelo di questa domenica è composto da due brani: il prologo, cioè l’inizio del libro redatto da Luca, e l’inizio della predicazione di Gesù.
Posti l’uno accanto all’altro questi due testi ci fanno comprendere come la Parola di Dio sia diventata prima Scrittura, Bibbia, Libro santo e poi, in ogni epoca – dunque anche per noi oggi – Parola vivente per l’assemblea dei credenti.
Iniziando il suo libro, Luca si rivolge al lettore cristiano, «amante di Dio» – questo è il senso del nome Teofilo – e gli dichiara la sua intenzione: siccome altri prima di lui hanno narrato la vicenda di Gesù, e lo hanno fatto dopo aver ascoltato la testimonianza su quest’uomo da parte di quelli che erano stati coinvolti nella sua vita, di quelli che lo avevano conosciuto, ascoltato e visto fino a diventare «servi della Parola», anche lui «dopo aver fatto ricerche accurate» ha deciso di scrivere un racconto, cioè il Vangelo.
Sì, il Vangelo è un racconto scritto di ciò che Gesù ha fatto e detto; anzi è un racconto della narrazione che Gesù con tutta la sua vita ha fatto di Dio.
Ecco perché in questi brevi versetti iniziali ci viene detto molto, ci viene esposto l’essenziale della nostra fede: «Dio nessuno l’ha mai visto, ma Gesù che è il Figlio da lui inviato, Gesù uomo in tutto come noi, ce ne ha fatto il racconto» (cf. Gv 1,18); e chi è stato associato alla sua vita, ossia chi lo ha visto, ascoltato e toccato, a sua volta ci ha trasmesso un racconto su Gesù (cf. 1Gv 1,1-3), che poi alcuni uomini, gli evangelisti, hanno messo per iscritto.
Ma questo è ciò che accade da sempre all’interno della comunità dei credenti in Dio, nell’Antico e nel Nuovo Testamento, ed è ciò che avviene ancora oggi nella chiesa…
Un esempio di tale processo ci è fornito dalla seconda parte del brano odierno, tratto dal quarto capitolo del Vangelo. Ci viene infatti raccontata la vita dei credenti ebrei al tempo di Gesù: anche nella sperduta borgata di Nazaret in giorno di sabato essi si radunano nella sinagoga per ascoltare la Parola di Dio contenuta nella Legge e nei Profeti, libri scritti nel passato quale testimonianza di come Dio ha parlato al suo popolo. Ed ecco che Gesù, dopo alcuni anni di assenza, fa ritorno al villaggio di cui è originario, Nazaret appunto, e partecipa alla liturgia in sinagoga: ascolta un brano della Torah, partecipa al canto responsoriale di alcuni Salmi, poi tocca a lui leggere la seconda lettura. Ricevuto il rotolo dei Profeti, lo apre e legge il testo previsto per quel giorno, un passo del profeta Isaia in cui un profeta anonimo racconta la propria vocazione: lo Spirito di Dio è sceso su di lui e ha posto in lui la sua dimora; con la forza donatagli dallo Spirito questo profeta e servo del Signore è stato inviato a portare una buona notizia ai poveri, a proclamare la liberazione a tutti gli oppressi, a predicare l’anno della misericordia del Signore (cf. Is 61,1-2).
Letto il brano, spetta a Gesù darne una spiegazione, ed egli lo fa attraverso un’«omelia» qui riassunta in pochissime parole: «Oggi si è compiuta questa Scrittura». Ovvero: il profeta presentato da Isaia è Gesù stesso, la Parola di Dio testimoniata dall’antico profeta e ascoltata da quanti si trovano nella sinagoga si realizza proprio in lui!
Ciò significa che quella pagina biblica costituisce il programma della missione di Gesù: ecco ciò che lui farà e dirà, ecco la buona notizia, il Vangelo che attraverso di lui si realizza…
E così la Parola rivelata a Isaia, da lui scritta fino a diventare libro tra i libri della Bibbia, letta nella liturgia celebrata a Nazaret, risuona come Parola di Dio compiutasi in Gesù. Luca narra poi questo evento nel Vangelo che, letto oggi nell’assemblea cristiana, risuona come Parola che chiede di essere realizzata da ciascun cristiano e dalla chiesa tutta.
Ma noi, qui e ora, abbiamo la consapevolezza che, quando la Parola di Dio contenuta nella Scrittura è proclamata, siamo noi ascoltatori a doverla realizzare? Sappiamo che spetta a noi trasmettere con la nostra vita la narrazione di Dio fornitaci da Gesù? ( E. Bianchi )
 

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