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Vangelo Domeniche e Festività

XX Domenica del T. O. – Chiunque, spinto dalla Parola, sceglie di mettersi seriamente alla sequela di Cristo, deve mettere in conto la separazione da tutto ciò che è contrario alla Parola …

Fuoco copia…Di primo acchito, le parole di Gesù – nel Vangelo di questa Domenica –  possono lasciarci intimoriti e sconcertati: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra… sono venuto a provocare divisione». In realtà, sono due espressioni che vanno interpretate insieme, per non rischiare di considerarle in contrasto con altre affermazioni evangeliche. ( N. Galantino )
Nel vangelo apocrifo di Tommaso la parola fuoco  è riportata quasi uguale: “Ho gettato il fuoco sul mondo, ed ecco lo custodisco fino a che divampi” (10).
Un altro ágraphon, una parola non scritta nei vangeli canonici ma ricordata da Origene, da Didimo il cieco e dallo stesso vangelo di Tommaso (82), è accostabile a questo detto: “Chi è vicino a me, è vicino al fuoco; chi è lontano da me, è lontano dal Regno”.
Da queste diverse testimonianze comprendiamo che Gesù era un uomo divorato da un fuoco, un uomo passionale, che la sua missione era quella di spargere come fuoco la presenza efficace di Dio nel mondo, che lui stesso era fuoco ardente, amore bruciante come “la fiamma di Jah” (Ct 8,6), del Signore.
Nel vangelo secondo Luca il fuoco è soprattutto segno, simbolo dello Spirito santo, già annunciato da Giovanni il Battista come forza, presenza divina nella quale il Veniente immergerà chi si converte, cioè “battesimo in Spirito santo e fuoco” (cf. Lc 3,16); è quel fuoco che negli Atti degli apostoli scende come presenza bruciante del Risorto sulla chiesa nascente, radunata in sua attesa (cf. At 2,1-11). ( E Bianchi )
 Gesù è venuto a “separare con il fuoco” il bene dal male, il puro dall’impuro, il giusto dall’ingiusto. In questo senso egli è venuto “a dividere”, a mettere un fecondo scompiglio nella vita dei suoi discepoli e a spezzare le facili illusioni di un cammino senza esigenze. Quante volte, del resto, ci illudiamo di poter coniugare insieme vita sacramentale e compromessi di ogni genere, pratiche pie e atteggiamenti contro il prossimo!
A tutto questo, oggi come ieri, Gesù dice un «no» deciso, invitando tutti a non rimandare in eterno il momento della conversione, a saper riconoscere il tempo opportuno per rispondere a Dio, a smettere di vivere in maniera ipocrita, a essere disposti a pagare il prezzo di scelte concrete coerenti con il Vangelo.
 È questa l’esperienza di Geremia (prima lettura). Profeta pacifi­co, nemico di ogni guerra, egli viene mandato dal Signore ad annunciare la sua Parola. La reazione dei suoi ascoltatori è fatta di scherno e di calunnia; la sua parola viene interpretata come causa di scoraggiamento e, quindi, contraria agli interessi della città santa. Il profeta, insomma, è visto come nemico della pace e del bene del popolo. Eppure Geremia è un profeta innamorato del suo popolo: ed è proprio questa passione a impedirgli di tacere. Ma la risposta che riceve in cambio è l’umiliazione e la violenza, di fronte alle quali però il profeta non arretra.
 Impariamo, dunque, da questi racconti un insegnamento essenziale: chiunque, spinto dalla Parola, sceglie di mettersi seriamente alla sequela di Cristo, deve mettere in conto la separazione da tutto ciò che è contrario alla Parola e che appesantisce il nostro “camminare con Gesù” verso Gerusalemme.
Ricordando che la Gerusalemme verso cui, con Gesù, siamo incamminati non è un luogo fi­sico, ma tutto ciò che contribuisce a far diventare questo nostro mondo sempre più simile a come Dio stesso lo sogna, un mondo dove l’amore regna e ogni uomo riconosca nell’altro un fratello con cui vivere in comunione. ( N. Galantino )

XIX Domenica del T. O. – Essere sempre pronti per poter cogliere il “passaggio” di Dio nella nostra vita.

VigilanzaLa liturgia della Parola di questa domenica, nel suo insieme, ci richiama a un atteggiamento cristiano fondamentale: la continua vigilanza.
Gesù (Vangelo), in particolare, ci invita a essere «pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese», per poter cogliere il “passaggio” di Dio nella nostra vita, ogni volta che egli bussa alla nostra porta e ci propone di fare esperienza della sua salvezza. Un’attesa che si fonda sulla promessa del Signore di portare a compimento la sua proposta di salvezza per ciascuno di noi. Continua a leggere

XVIII Domenica del T.O. – Il valore della vita della persona non dipende da quello che ha, ma da quello che dà.

Parable of the rich man *oil on panel *31.9 x 42.5 cm *signed b.l.: RH. 1627.La liturgia di oggi ci parla di vita concreta. «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità!»: due fratelli in lite perché non riescono a spartirsi l’eredità. Una situazione realistica e persino frequente.
Quante famiglie divise per questo!
Quante relazioni interpersonali bruciate per interesse! E non solo a causa di beni materiali, ma anche per accaparrarsi la stima altrui, per apparire più autorevoli degli altri, per prevalere a ogni costo!
La Parola ascoltata però ci toglie ogni alibi, insegnandoci che certi conflitti si superano solo se impostiamo diversamente la nostra vita, seguendo la strada suggerita dalle letture odierne.
«Tutti i giorni dell’uomo non sono che dolori e fastidi penosi; neppure di notte il suo cuore riposa». Questa e altre affermazioni contenute nella prima lettura, se isolate dal contesto e lette a prescindere dal Vangelo, ci appaiono come un concentrato di pessimismo sulla vita dell’uomo. Alla luce del Vangelo, invece, diventano un severo ammonimento per chi, nel progettare e vivere la propria esistenza, punta tutto sull’interesse, sul tornaconto, sull’accumulo di beni.
Quando due o più persone che hanno impostato così la loro vita si incontrano, allora sono inevitabili i contrasti. Proprio come accade ai due fratelli che si rivolgono a Gesù. L’interesse per l’eredità li fa entrare in rotta di collisione, tanto che non riescono più a parlare tra loro e chiedono a Gesù di risolvere la loro controversia. Essi ignorano – e forse capita anche a noi – che la soluzione a queste situazioni assurde non sta fuori di noi, bensì nel nostro modo di concepire la vita e vivere le relazioni. ( N. Galantino )
Il valore della vita della persona non dipende da quello che ha, ma da quello che dà.
L’insegnamento di Gesù nei vangeli è che si possiede soltanto quello che si è capaci di dare; quello che si trattiene per sé non si possiede, ma ci possiede.
….   Il ricco, i ricchi sono malati terminali di egoismo per i quali non c’è speranza alcuna di salvezza, perché dovrebbero essere generosi, ma loro, appunto perché sono ricchi, non lo sono.
 Il ricco non pensa minimamente di dare, di condividere. E’ già ricco e ha questa campagna che gli fa un raccolto abbondante; non è che pensa “a chi posso dare, con chi posso condividere?” Il ricco pensa soltanto per sé. Ai ricchi tutto è dovuto. ….  Pensa soltanto e unicamente a se stesso. Non lo sfiora minimamente un cenno di solidarietà, di condivisione, lui è già ricco, ha un frutto abbondante, “e dai che ti costa dare gli altri?!” No, il ricco, come ho detto, è un ammalato terminale di egoismo per il quale non c’è speranza.
Ed ecco la sentenza di Dio :  “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”.   ( A Maggi )
Sì, ragionare e comportarsi in questo modo si dimostra folle, insensato, perché manifesta un’illusione mortifera: quella che la ricchezza e la proprietà di molti beni salvino, diano senso e significato alla vita. Spesso non lo ammettiamo, ma in realtà lo pensiamo, e facciamo di questo criterio l’ispirazione di molte nostre scelte…
L’ora della morte sarà anche quella dell’incontro con il giudice, Dio, il quale renderà manifesto ciò che ciascuno di noi ha pensato, detto e fatto nei giorni della sua vita terrena. Allora sarà evidente la verità di ciò che si è vissuto qui e ora: ovvero, dell’aver tenuto conto o meno della volontà di Dio che tutti gli esseri umani siano fratelli e sorelle e partecipino con giustizia alla tavola dei beni della terra, in quella condivisione capace di combattere la povertà. Ma chi ha accumulato per sé con un folle egoismo, chi non si è “arricchito presso Dio”, cioè condividendo i suoi beni, sarà nella solitudine eterna. La vita umana non finisce qui, anche se spesso lo dimentichiamo…  ( Enzo Bianchi )

 

XVII Domenica del T. O. – Gesù ci invita a fare esperienza di preghiera, mettendoci direttamente in comunicazione con il Padre, suscitando in noi una profonda nostalgia per una relazione profonda e personale con lui.

Gesù Prega il PadreLa liturgia della Parola di questa domenica ci introduce nell’esperienza della preghiera. Cos’è la preghiera? Come pregare? I discepoli di Gesù – come ogni buon ebreo – sanno già pregare, recitando le preghiere della tradizione.
La loro domanda – «Signore, insegnaci a pregare » – va quindi molto al di là del problema delle formule da utilizzare nella preghiera.
I discepoli, in realtà, chiedono di poter vivere anche loro la stessa “qualità” del rapporto che Gesù vive con il Padre, chiedono di essere aiutati a superare il loro modo di pregare, che essi percepiscono come sterile e del tutto diverso da quello di Gesù.
…. Gesù non dà una definizione astratta della preghiera, né insegna un metodo infallibile per pregare e “ottenere”, quasi una tecnica efficace per strappare favori a un Dio sordo! Egli invece invita i suoi a fare esperienza di preghiera, mettendoli direttamente in comunicazione con il Padre, suscitando in essi una profonda nostalgia per una relazione profonda e personale con lui. Sta qui la novità della preghiera cristiana! Essa è dialogo tra persone che si amano, un dialogo basato sulla fiducia, sostenuto dall’ascolto e aperto all’impegno solidale. ( N Galantino )
 
L’unica preghiera insegnata da Gesù, il Padre Nostro, ci è giunta in tre versioni differenti tra loro. Questo perché gli evangelisti non intendevano trasmettere le parole esatte di Gesù, ma il suo profondo significato.
Del Padre Nostro abbiamo quindi una versione in Matteo, la più lunga, poi una versione più breve, questa di Luca e poi nel primo catechismo della chiesa che si chiama Didaché   ( A Maggi )
 
Quella di Luca , la più breve, costituita innanzitutto da due domande che hanno un parallelo nella preghiera giudaica del Qaddish: la santificazione del Nome e la venuta del Regno. Seguono poi tre richieste riguardo a ciò che è veramente necessario al discepolo: il dono del pane di cui si ha bisogno ogni giorno, la remissione dei peccati e la liberazione dalla tentazione. Preghiera semplice quella del cristiano, senza troppe parole, ma piena di fiducia in Dio – invocato come Padre – nel suo Nome santo, nel suo Regno che viene. ( E. Bianchi )
….  Gesù ai discepoli che gli chiedono di insegnare loro a pregare dice: “Quando pregate, dite: “Padre …”
Verso Dio non si rivolge usando quei formulari cerimoniali liturgici in cui Dio veniva esaltato con tutti i suoi nomi (tipo “altissimo”). No. Gesù si rivolge a Dio chiamandolo Padre, perché questo è il rapporto che lui è venuto ad inaugurare con i suoi: la relazione di un padre con un figlio. E teniamo presente che in quella cultura il padre è colui che trasmette la vita, quindi è la fonte della vita.
E la prima richiesta che si fa è: “Sia santificato il tuo nome”.
 Il verbo “santificare” ha il significato di consacrare, separare, ma quando è rivolto a Dio significa riconoscere quello che è. Allora la prima richiesta che la comunità dei credenti rivolge al Padre è “venga riconosciuto questo tuo nome”, cioè che la gente ti conosca come un Padre … Padre che va  incontro ai bisogni dei suoi figli, che addirittura li precede perché il Padre ha a cuore la vita e la felicità dei suoi figli.
L’altra petizione è: “Venga il tuo regno”.  ….  Il regno di Dio non è l’aldilà, ma una società alternativa dove al posto di accumulare per sé si condivida generosamente con gli altri, dove al posto di comandare si serva. Attraverso la fedeltà alle beatitudini, la comunità chiede che si estenda questa esperienza del regno.
Poi ancora una richiesta “dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano”.   … Sembra quasi che si debba chiedere a Dio il pane da mangiare, il pane che nutre gli uomini. No, il pane che nutre gli uomini è compito degli uomini procurarlo e condividerlo con chi non ne ha. Questo è un pane speciale perché viene richiesto a Dio. …  Questo pane è la presenza di Gesù al centro della comunità, … Gesù come alimento, come parola che alimenta la vita e come pane, il pane dell’Eucaristia che dona la forza di vivere questa parola.
Poi la clausola “e perdona”, cioè letteralmente cancella, “a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo” – cancelliamo – “a ogni nostro debitore”. Dio ci perdona, ma il suo perdono diventa efficace e operativo nel momento che si traduce in perdono per gli altri.
Per ultimo  il famoso “non ci indurre in tentazione”!  Ora la traduzione ha migliorato. “Non abbandonarci alla tentazione”, letteralmente alla prova.
Qual è questa prova alla quale la comunità chiede di non essere abbandonata? E’ la prova nella quale ha fallito. Gesù nell’orto degli ulivi aveva chiesto ai discepoli: “Pregate per non entrare nella prova, per non cedere alla prova”. La prova era quella di Gesù che veniva catturato come un malfattore, che finiva assassinato come un delinquente, come un maledetto da Dio, una prova che ha messo in crisi la comunità. Allora Gesù invita in questa preghiera alla comunità di chiedere di rimanere forti nel momento della prova, nel momento di questa tentazione. ( A Maggi )
 
Preghiera semplice quella del cristiano, senza troppe parole, ma piena di fiducia in Dio.
Dopo  il “Padre nostro”, i brano di oggi prosegue con una parabola, riportata solo da Luca,  che  vuole presentare la preghiera di domanda come preghiera insistente, assidua, che non viene meno ma che sa mostrare davanti a Dio una determinazione e una perseveranza fedele.
… È vero che non si usa esplicitamente il verbo “pregare”, ma è evidente che Gesù si riferisce sempre alla preghiera, proprio in risposta alla domanda iniziale del discepolo. Chiedete – raccomanda Gesù – cioè non abbiate paura di chiedere a Dio che è Padre, chiedete con semplicità, sicuri di essere esauditi da chi vi ama, e chiedete senza stancarvi mai. Si tratta di cercare con la convinzione della necessità della ricerca, con la convinzione che c’è qualcosa che vale la pena di essere cercato, a volte faticosamente, a volte lungamente, ma occorre essere certi che prima o poi si giungerà a trovare. Dove c’è una promessa, si tratta di attendere vigilanti, di cercarne l’esaudimento. Si tratta anche di bussare a una porta: se si bussa, è perché c’è speranza che qualcuno dal di dentro apra e ci accolga, ma a volte occorre bussare ripetutamente …
Di conseguenza, ci poniamo subito la domanda: perché Dio ha bisogno di essere più volte supplicato, perché vuole essere cercato, perché vuole che bussiamo ancora e ancora? Ne ha così bisogno?
No, siamo noi che abbiamo bisogno di chiedere, perché siamo dei mendicanti e non vogliamo riconoscerci tali; siamo noi che dobbiamo rinnovare la nostra ricerca di ciò che è veramente necessario; siamo noi che dobbiamo desiderare che ci sia aperta una porta, in modo da poter incontrare chi ci accoglie.
Dio non ha bisogno della nostra insistente preghiera, ma siamo noi ad averne bisogno per imprimerla nelle fibre della nostra mente e del nostro corpo, per aumentare il nostro desiderio e la nostra attesa, per dire a noi stessi la nostra speranza.
Ma a questa parabola e al suo primo commento Gesù aggiunge un’altra applicazione, sempre breve e sempre in forma interrogativa:
Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà forse una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà forse uno scorpione? O se gli chiede un pane, gli darà forse un sasso (quest’ultima aggiunta è presente solo in una parte della tradizione manoscritta)?
Ecco, questo non avviene tra un padre e un figlio, perché il legame di sangue impedisce un simile comportamento paterno, anche in caso di scarso affetto. A maggior ragione – dice Gesù – se questo non avviene tra voi che siete cattivi, eppure sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre che è nel cielo darà lo Spirito santo a quelli che glielo chiedono.
Quest’ultima parola di Gesù è stata meditata poco e con poca intelligenza dalla chiesa stessa negli ultimi secoli.
 Gesù sa, e per questo lo dice con franchezza, che noi umani siamo tutti cattivi (poneroí), perché in noi c’è una pulsione, un istinto a pensare a noi stessi, ad affermare noi stessi, alla philautía, l’amore egoistico di sé.
Eppure, anche se questa è la nostra condizione, siamo capaci di azioni buone, almeno nel caso di un rapporto famigliare tra padre e figlio.
Ebbene, se noi, pur nella nostra cattiveria, diamo cose buone ai figli che ce le chiedono, quanto più Dio, che “è il solo buono” (agathós: Lc  18,19), darà cose buone a chi gliele chiede!
Ma come dimenticare che sovente abbiamo fatto di Dio un padre più cattivo dei nostri padri terreni? Scriveva Voltaire: “Nessuno vorrebbe avere come padre terreno Dio”, ed Engels gli faceva eco: “Quando un uomo conosce un Dio più severo e cattivo di suo padre, allora diventa ateo”.
È così, ed è avvenuto così perché la chiesa ha dato un’immagine di Dio come giudice severo, vendicativo e perverso, fino a spingere gli umani ad abbandonare un tale Dio e a negarlo!
Gesù invece ci parla di un Dio Padre più buono dei padri di cui abbiamo fatto esperienza, insegnandoci che sempre Dio ci dà cose buone quando lo invochiamo.
Ma in questo brano c’è una precisazione importante e decisiva a proposito della preghiera. Luca si discosta dalla versione di queste parole di Gesù fornita da Matteo, perché sente il bisogno di chiarirle e di spiegarle. Sì, è vero che Dio ci esaudisce con cose buone (cf. Mt 7,11), ma queste non sempre sono quelle da noi giudicate buone.
La preghiera non è magia, non è un “affaticare gli dèi” – come scriveva il filosofo pagano Lucrezio (La natura delle cose IV,1239) – o uno stordire Dio a forza di parole moltiplicate, dice altrove Gesù (cf. Mt 6,7-8).
Dio non è a nostra disposizione per esaudire i nostri desideri, spesso egoisti ma soprattutto ignoranti, in senso letterale: non sappiamo ciò che vogliamo!
 Ecco perché – precisa la versione lucana – “le cose buone” sono in realtà “lo Spirito santo”.
Sempre Dio ci dà lo Spirito santo, se glielo chiediamo nella preghiera, e lo Spirito che scende nella nostra mente e nel nostro cuore, lui che si unisce al nostro spirito (cf. Rm 8,16), è la risposta di Dio. Ma è bene fare un esempio, a costo di essere brutali. Se io, affetto da una grave malattia, chiedo a Dio la guarigione, non è detto che questa si verifichi effettivamente, ma posso essere certo che Dio mi darà lo Spirito santo, forza e amore per vivere la malattia in un cammino in cui continuare ad amare e ad accettare che gli altri mi amino. Questo è l’esaudimento vero e autentico, questo è ciò di cui abbiamo veramente bisogno! (Enzo Bianchi )

 
 
 
 
 

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