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Leggiamo, una pagina al giorno, il libro “ PREGARE LA PAROLA” di Enzo Bianchi. Per accedervi click sulla voce del menu “ PREGARE LA PAROLA” o sull’icona che scorre di seguito .

Vangelo Domeniche e Festività

Pasqua di Risurrezione – Giovanni, vedendo che il sepolcro era vuoto e tutte le bende ben accostate, credette

Resurrezione M VIl Vangelo è molto semplice e molto bello: l’incontro col sepolcro vuoto, non ancora col Signore, da parte delle donne che portano i profumi e gli aromi, poi un primo andarsene e la corsa ai discepoli, poi la corsa degli stessi discepoli e il loro incontro con il sepolcro vuoto, una  certa  percezione  di  fede, in  particolare di Giovanni, che entrato, vedendo che il sepolcro era vuoto e tutte le bende ben accostate, credette (cf. Gv 21,1 ss)
  Tutto questo è molto bello e sappiamo la grande importanza che ha il sepolcro del Signore nella testimonianza cristiana primitiva e nella tradizione cristiana, nella effusione di grazia in tutta la Chiesa ancora oggi.   
 Però questo Vangelo, importante per le cose che dice, lo è ancor di più per quello che non dice.
In fondo le donne e gli apostoli col Signore proprio non si incontrano, perché il modo giusto per incontrarsi col Signore risorto non è ancora venuto.
.. Questo modo è anticipato in  At 10,40-41 :  ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che apparisse,  non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi, che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti. .. dove Pietro fa un riepilogo grandissimo della catechesi cristiana fondamentale, in questa occasione particolarmente risolutiva, poiché rivolta non più ai giudei ma ai gentili.
   E sappiamo bene che nello sviluppo della giornata pasquale l’incontro primario col Signore si verifica in occasione di un incontro conviviale: i due discepoli di Emmaus, i discepoli stessi e gli apostoli nel cenacolo la sera di Pasqua lo incontrano mangiando, e così fino all’apparizione  sulle rive del lago di cui parla il cap 21.  
….  L’apparizione ecclesiale, per così dire formale, è però quella in cui il Signore si rivela risorto a tutta la comunità, quella in cui investe alcuni in particolare della funzione e della grazia di annunziare a tutto il mondo la sua risurrezione e di effondere su tutto il mondo la vita di Cristo risorto. 
….  Maria Maddalena e gli apostoli avevano già il mistero di Dio dentro il cuore.
E’ questo mistero di Dio che li trascina lì; loro credono di andarci per certi motivi – motivi che , fra l’altro, in sé sarebbero incompatibili con la fede in questo mistero – ma in realtà, nel più profondo del loro essere, il mistero è più forte di tutte le loro intenzioni esplicite e dichiarate.
C’è qualcosa che ormai ha preso possesso di loro e li domina. Che cosa sia ce lo dice San Paolo in Rm 6,8-9  “Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui,  sapendo che Cristo risuscitato dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui.”  
( Da “ Omelie e istruzioni pasquali” di Don Giuseppe Dossetti )

Domenica delle Palme – Seguire Gesù dal suo essere servo a tavola fino alla sua morte in croce

Palme
“Eccoci prossimi alla Grande Settimana. Non possiamo vedere avvicinarsi l’inizio della grande sofferenza di Gesù senza offrirci a lui, nostro grande ed unico amico, che ha sofferto nella sua anima e nel suo corpo in un modo che non potremo mai capire, e senza cercare con tutta la delicatezza del nostro cuore di offrirgli un po’ d’amore gratuito, come il vaso di alabastro di Maddalena, un po’ di coraggio nella preghiera con lui al Getsemani, un po’ più di generosità nel desiderare e nell’accettare la sofferenza e la croce incominciando  con il rinnegarci, un po’ più di annientamento del nostro orgoglio, nel mistero dell’obbedienza che ha spezzato la sua anima …
Prego Dio che ognuno riceva, insieme con una illuminazione sulla sofferenza di Gesù, anche un desiderio efficace di penetrarvi più a fondo.
 Giovedì e venerdì sera, anche se avete lavorato tutta la giornata, non abbiate paura di stancarvi andando ad inginocchiarvi a lungo davanti a Gesù Eucaristia o davanti alla sua croce. In un tale anniversario sappiate  appartarvi dalla folla per essere soli con Gesù. Andate con Lui ne deserto per pregare”   (dagli scritti di René Voillaume)
Nella Domenica delle Palme viene letta una pagina tratta dal vangelo secondo Giovanni: «La grande folla che era venuta per la festa» – la festa della Pasqua ebraica – «udito che Gesù veniva a Gerusalemme, prese dei rami di palme e uscì incontro a lui gridando: Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele! Gesù, trovato un asinello, vi montò sopra, come sta scritto: “Non temere, figlia di Sion! / Ecco, il tuo re viene, / seduto sopra un puledro d’ asina”. Sul momento i suoi discepoli non compresero queste cose; ma quando Gesù fu glorificato, si ricordarono che questo era stato scritto di lui e questo gli avevano fatto» (12, 12-16).
Può sembrare strano cominciare con un’acclamazione a Cristo come vincitore e come re, ma la liturgia non conosce la malinconia. L’evento della passione è di fatto una vittoria, perché ormai Gesù ha vinto la morte e ne ha superato la paura. Ciò spiega perché lo contempliamo mentre entra deliberatamente e coraggiosamente nella città che trama contro di lui.. ( C. M. Martini )
Gesù entra a Gerusalemme per morire sulla Croce. Ed è proprio qui che splende il suo essere Re secondo Dio: il suo trono regale è il legno della Croce!….
Perché la Croce? Perché Gesù prende su di sé il male, la sporcizia, il peccato del mondo, anche il nostro peccato, di tutti noi, e lo lava, lo lava con il suo sangue, con la misericordia, con  l’amore di Dio. ….. Questo è il bene che Gesù fa a tutti noi sul trono della Croce. La croce di Cristo abbracciata con amore mai porta alla tristezza, ma alla gioia, alla gioia di essere salvati e di fare un “pochettino” quello che ha fatto Lui quel giorno della sua morte  (Papa Francesco).
Nella nostra Settimana Santa veniamo chiamati a “fare memoria” di quanto è accaduto in quella prima Settimana Santa. Con tutto il rispetto e l’apprezzamento per le “Via Crucis” viventi e per le rievocazioni storiche della Passione, è nella liturgia, sobria e solenne, del Triduo pasquale che riviviamo autenticamente quanto il Signore ha fatto per noi.
 C’è molta differenza tra una celebrazione liturgica e le tante e lodevoli rappresentazioni rievocative.
 Nella liturgia facciamo “memoria”, o meglio “memoriale” (lo ziqqaron ebraico), molto più di un semplice “ricordo”. La “memoria” liturgica, infatti, rende attuale ciò che si celebra e, al tempo stesso, rende noi contemporanei e partecipi all’evento di cui facciamo “memoria”. Da oggi, dunque, per tutta la Settimana Santa, la Chiesa ci invita a vivere in più tappe il “racconto d’amore” di Dio, il cui unico obiettivo è renderci creature nuove attraverso il dono della sua vita in Gesù! ( N. Galantino )
Nella prima domenica di Quaresima, alla fine del racconto delle tentazioni di Gesù nel deserto abbiamo ascoltato questa precisazione lucana: «dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da Gesù fino al tempo fissato» (Lc 4,13).
Ed eccoci giunti al tempo fissato, l’ora della passione, l’ora in cui Gesù è nuovamente tentato dal demonio ed è sottoposto a una prova terribile angosciosa: restare fedele al Padre, anche al prezzo di subire una morte violenta in croce, oppure percorrere altre vie, quelle suggerite dal demonio, che portano come promessa sazietà, potere, ricchezza, successo? La passione secondo Luca è davvero l’ora della grande tentazione non solo di Gesù, ma anche dei discepoli, dunque della chiesa…
Proprio durante la cena pasquale, quando Gesù anticipa con dei gesti sul pane e sul vino e con delle parole ciò che gli sarebbe accaduto nelle ore successive, proprio quando svela che la sua è una vita donata, spesa, offerta fino all’effusione del sangue per i discepoli, questi mostrano di entrare in tentazione e di essere sedotti. Innanzitutto uno di loro tradisce l’alleanza della comunità, la nuova alleanza sancita dal sangue di Gesù, consegnandolo nelle mani dei nemici; Luca ricorda poi che, mentre Gesù a tavola serve i suoi stando in mezzo a loro, questi litigano per sapere «chi poteva essere considerato sopra di loro il più grande»; infine Pietro, la roccia, proclama a Gesù una fedeltà che smentirà per tre volte con un rinnegamento. Sì, nell’ora della tentazione i discepoli soccombono alla prova, mentre Gesù lungo tutta la passione si mostra fedele a Dio e ai discepoli…
Venuto al monte degli Ulivi, durante la lotta spirituale decisiva Gesù invita i discepoli a «pregare per non entrare in tentazione»; lui stesso dà loro l’esempio e prega il Padre, restando pienamente sottomesso alla sua volontà, fino ad accogliere l’arresto senza difendersi, senza opporre violenza a violenza, senza mutare il suo stile e il suo comportamento di mitezza e di amore, ma rimanendo fedele alla verità che aveva contraddistinto la sua vita. Pregando, Gesù è entrato nella sua passione, e pregando ha fatto della morte violenta in croce un atto: ha chiesto al Padre di perdonare i suoi crocifissori e, infine, ha invocato Dio dicendogli: «Padre, nelle tue mani consegno il mio respiro» (cf. Sal 31,6). Davanti a Dio, da lui chiamato e sentito come Padre, Gesù ha posto noi uomini e tutta la sua vita, e così è morto: in piena fedeltà a Dio, agli uomini, alla terra da cui era stato tratto come uomo, «figlio di Adamo» (Lc 3,38).
Quella di Gesù è stata una fedeltà a caro prezzo, perché anche in croce è stato nuovamente tentato, simmetricamente alle tentazioni da lui subite nel deserto, all’inizio della sua vita pubblica. Nell’ora conclusiva della sua vita terrena riecheggiano da parte degli uomini parole simili a quelle di Satana: «sei tu sei il re dei Giudei, se tu sei il Cristo, se hai salvato gli altri… salva te stesso!». Ma Gesù non vuole salvare se stesso; al contrario, vuole compiere fedelmente la volontà di Dio, continuando a comportarsi fino alla morte in obbedienza a Dio, ossia amando e servendo la verità. Questo è causa di morte per lui, ma causa di vita per gli uomini tutti!
Quanto a noi che ascoltiamo questo racconto della passione, Luca ci invita a seguire Gesù dal suo essere servo a tavola fino alla sua morte in croce. Allora potremo vedere in lui «l’uomo giusto», riconosciuto tale anche da Pilato, che per tre volte è costretto a proclamare che Gesù non ha mai commesso il male. Guardando a lui, il crocifisso che invoca il perdono per i suoi persecutori e si affida a Dio, entreremo nell’autentica contemplazione, come «le folle che, accorse a quella contemplazione–spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornavano battendosi il petto». E con il centurione faremo un’autentica confessione di fede: «Veramente quest’uomo era giusto». Sì, Gesù è il Giusto perseguitato, il Figlio di Dio (cf. Sap 2,10-20); è colui che il Padre ha richiamato dai morti in risposta alla vita da lui vissuta, segnata da un amore più forte della morte. (Enzo Bianchi)

V Domenica di Quaresima – L'agire di Dio non è mai condanna ma perdono.

Gesù e l'adultera rid
La Quaresima volge alla conclusione. Anche per questo le letture di oggi ci guidano a comprendere in pienezza il dono della misericordia che, se autentica, comporta sempre una “novità” radicale. Così per il popolo d’Israele (prima lettura) che, in una situazione di sbandamento, sperimenta ancora l’intervento nella sua storia da parte di Dio, capace di “aprire una strada nuova”.
Anche Paolo (seconda lettura) conosce nella sua vita l’irruzione di Dio, che capovolge il suo modo di esistere e di giudicare, tanto da ritenere un “guadagno” persino l’abbandono della posizione di prestigio che gli spettava. ( N. Galantino )
Dio non compie cose nuove se non una cosa sola nuova: Gesù…. (D. G. Dossetti, appunti di omelia, Gerico, 23.3.1980).
«Questa cosa nuova che il Signore fa è la Pasqua. Vanità delle vanità tutto è vanità, non c’è niente di nuovo sotto il sole, dice il Qohelet. Finalmente il Signore crea questa nuova creatura: Cristo Risorto. Egli non appartiene più al passato, alla corruzione, alla morte, alla umiliazione, al peccato. Questa vita nuova di Cristo Risorto scorre nelle nostre vene per mezzo dello Spirito, noi siamo morti alle cose di prima, siamo già con sepolti con Cristo nella vecchia creatura, uomo vecchio,siamo risorti con lui e sedenti con lui alla destra»  (appunti di d. Pierluigi Castellini).
Una “strada nuova” e insperata si apre anche nella storia compromessa della donna adultera (Vangelo), quando nulla ormai sembra poterla sottrarre alla pena della lapidazione.  ( N. Galantino )
La  pagina dell’incontro tra Gesù e la donna sorpresa in adulterio ha conosciuto una sorte particolarissima, che attesta il suo carattere “scandaloso”: è assente nei manoscritti più antichi, è ignorato dai padri latini fino al IV secolo e non è commentato dai padri greci del primo millennio. ( E. Bianchi )
Agostino, nel IV secolo che scriveva : Per timore di concedere alle loro mogli l’impunità di peccare, tolgono (i componenti delle comunità cristiane) dai loro codici (cioè il testo del vangelo) il gesto di indulgenza che il Signore compì verso l’adultera, come se colui che disse “d’ora in poi non peccare più” avesse concesso il permesso di peccare.
Quindi erano gli uomini, i mariti, che non volevano questo brano, perché l’indulgenza di Gesù verso la donna adultera sembrava mettesse in pericolo la loro famiglia, la loro unità coniugale. ( A Maggi )
 Va detto che questo  brano presenta somiglianze con il vangelo secondo Luca, quello più attento all’insegnamento di Gesù sulla misericordia, e potrebbe essere agevolmente collocato dopo Lc 21,37-38: “Durante il giorno Gesù insegnava nel tempio; la notte, usciva e pernottava all’aperto sul monte detto degli Ulivi. E tutto il popolo, al mattino, andava da lui nel tempio per ascoltarlo”. Noi però, in obbedienza al canone delle Scritture, lo leggiamo dove la redazione finale lo ha posto, nel contesto di una discussione sul rapporto tra Legge e peccato.
Mentre Gesù, seduto nel tempio, annuncia la Parola, “scribi e farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio”, per “metterlo alla prova”. Spesso i vangeli annotano che gli avversari di Gesù tentano di metterlo in contraddizione con la Legge, per poterlo accusare di bestemmia. Ma questa volta il tranello non riguarda interpretazioni della Legge, bensì una donna – o meglio, quella che è “usata” come un caso giuridico – sorpresa in adulterio e trascinata con la forza davanti a lui da quanti vigilano sull’altrui compimento della Torah invece che sul proprio. ( E. Bianchi )
Notiamo il disprezzo per questa creatura per la quale la pena richiesta è la lapidazione, pena che ci fa  comprendere che questa donna è nella prima fase del matrimonio.
Il matrimonio in Israele avveniva in due tempi. Il primo quando la ragazza aveva dodici anni e il maschio diciotto, era la fase dello sposalizio;  con il secondo tempo, dopo un anno, cominciava la convivenza :  erano le nozze.
Se la donna commetteva adulterio nella prima fase, quella dello sposalizio, veniva lapidata. Se, al contrario, l’adulterio era commesso nella seconda fase, veniva strozzata.
 Il fatto che chiedono per questa ragazza, per questa ragazzina, la lapidazione, significa che è una ragazzina tra i dodici e i tredici anni. ( A. Maggi )
La durezza della pena prevista si spiega con il fatto che l’adulterio è una smentita della promessa creazionale di Dio e una grave ferita all’alleanza stipulata dalla coppia umana (cf. Ml 2,14-16) . Ecco dunque che i gelosi custodi della Legge, irreprensibili in apparenza e ritenuti dalla gente “uomini religiosi” per la loro visibilità ostentata  (cf. Mt 23,5) , chiedono a Gesù: “Tu che ne dici?”.
Tale domanda mira a coglierlo in contraddizione: se Gesù non conferma la condanna e non approva l’esecuzione, può essere accusato di trasgredire la Legge di Dio ( E Bianchi )  Se invece  dice: “Bene ubbidiamo alla legge divina”, tutto questo popolo che ha seguito Gesù, perché ha sentito in lui un afflato diverso, ha sentito l’eco dell’amore e della misericordia di Dio, rimarrà  deluso e lo lascerà.  ( A Maggi )
Sostiamo sulla scena descritta nel brano di oggi.
 Alcuni hanno portato a Gesù una donna, perché sia condannata. Discepoli e ascoltatori sono distanti: qui c’è solo Gesù di fronte a questi uomini religiosi – giudici ingiusti, nemici – e, in mezzo, una donna in piedi, nell’infamia.
Non c’è spazio per considerare la sua storia, i suoi sentimenti: per i suoi accusatori ella non ha solo commesso il peccato di adulterio, è un’adultera, tutta intera definita dal suo peccato.
Ma Gesù si china e si mette a scrivere per terra: in tal modo si inchina di fronte alla donna che è in piedi davanti a lui! Il tutto senza proferire parola, in un grande silenzio…
Ma cosa significa il gesto di Gesù?
 Egli scrive i peccati degli accusatori della donna, come pensa Girolamo? Oppure scrive frasi bibliche, secondo l’opinione di alcuni esegeti?
Non è facile interpretare questo gesto: a mio avviso va inteso in quanto azione dotata di una forte carica simbolica. Credo che si debbano vedere da un lato gli scribi e i farisei che ricordano la Legge scolpita su tavole di pietra; dall’altro Gesù il quale, scrivendo per terra, la terra di cui siamo fatti noi figli e figlie di Adamo, il terrestre (cf. Gen 2,7), ci indica che la Legge va inscritta nella nostra carne, nelle nostre vite segnate dalla fragilità e dal peccato. Non a caso Gesù scrive “con il dito”, così come la Legge di Mosè fu scritta nella pietra “dal dito di Dio” (Es  31,18; Dt 9,10) e fu riscritta dopo l’infedeltà idolatrica del vitello d’oro e la rottura dell’alleanza (cf. Es 34,28).
Poiché però gli accusatori insistono nell’interrogarlo, Gesù si alza e non risponde direttamente, ma fa un’affermazione che è anche una domanda: “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei”. Poi si china di nuovo e torna a scrivere per terra. Ma chi può dire di essere senza peccato? Gesù conferma la Legge, secondo cui il testimone deve essere il primo a lapidare il colpevole (cf. Dt 13,9-10; 17,7), ma dice anche che il testimone deve essere lui per primo senza peccato!
 ( … ) Solo Gesù, lui che era senza peccato, poteva scagliare una pietra, ma non lo fa.
La sua parola, che non contraddice la Legge e nel contempo conferma la sua prassi di misericordia, appare efficace, va al cuore dei suoi accusatori i quali, “udito ciò, se ne vanno uno per uno, cominciando dai più anziani”: più si avanza in età, più numerosi sono i peccati commessi; questa coscienza dovrebbe impedire la nostra inflessibilità verso gli altri… Così una sola parola di Gesù, incisiva e autentica, una di quelle domande che ci fanno leggere in profondità noi stessi, impedisce a quegli uomini di fare violenza in nome della Legge che credono di interpretare con rigore
Solo Dio, e quindi solo Gesù, potrebbe condannare quella donna. Ma Gesù sceglie di narrare in altro modo l’agire di Dio, che non è mai condanna ma sempre perdono.
Potremmo dire che Gesù “evangelizza Dio”, cioè rende Dio Vangelo, buona notizia. “Dio, nessuno l’ha mai visto” (Gv  1,18), ma molti pensano di interpretarlo e di agire in nome suo; e così raccontano l’immagine di un Dio perverso, mettendo una maschera sul suo volto. Gesù invece, l’unico uomo che ha narrato in pienezza di Dio, che ne è stato esegesi vivente (cf. ibid.), afferma che di fronte al peccatore Dio ha un solo sentimento: non la condanna, ma il desiderio che si converta e viva (cf. Ez 18,23; 33,11).
Solo quando tutti se ne sono andati, allora Gesù si alza in piedi e sta di fronte alla donna, finalmente restituita alla sua identità di essere umano, nel faccia a faccia con lui. È la fine di un incubo, perché i suoi lapidatori si sono dileguati e perché chi doveva giudicarla ora sta in piedi, come colui che assolve. Adesso è possibile l’incontro parlato, che si apre con l’appellativo rivoltole da Gesù: “Donna”, lo stesso riservato a sua madre (Gv 2,4), alla samaritana (Gv 4,21), alla Maddalena (Gv 20,15).
Rivolgendosi a lei in questo modo, Gesù la fa risaltare per quella che è: non una peccatrice, ma una donna, restituita alla sua dignità. A lei Gesù domanda: “Dove sono i tuoi accusatori? Nessuno ti ha condannata?”. Ed ella, rispondendo: “Nessuno, Signore (Kýrie)”, fa una grande confessione di fede. Colui che si trova di fronte a lei è più di un semplice maestro, “è il Signore” (Gv 21,7)!
Infine, Gesù si congeda con un’affermazione straordinaria, gratuita e unilaterale: “Neanch’io ti condanno. Va’ e non peccare più”.
Il testo non è interessato ai sentimenti della donna ma rivela che, quando è avvenuto l’incontro tra la santità di Gesù e il peccato di questa donna, allora “rimasero solo loro due, la misera e la misericordia(Agostino).
Ecco la gratuità di quell’assoluzione: Gesù non condanna, perché Dio non condanna, ma con il suo atto di misericordia preveniente le offre la possibilità di cambiare.
E si faccia attenzione: non viene detto che ella cambiò vita, si convertì, né che divenne discepola di Gesù. Sappiamo solo che, affinché tornasse a vivere, Dio l’ha perdonata attraverso Gesù e l’ha inviata verso la libertà: “Va’ verso te stessa e non peccare più”…
Le persone religiose vorrebbero che a questo punto Gesù avesse detto alla donna: “Ti sei esaminata? Sai cosa hai fatto? Ne comprendi la gravità? Sei pentita della tua colpa? La detesti? Prometti di non farlo più? Sei disposta a subire la giusta pena?”. Queste omissioni nelle parole di Gesù scandalizzano ancora, oggi come ieri!
Ma Gesù non condanna né giudica – come dirà poco dopo: “Io non giudico nessuno” (Gv 8,15) – e annuncia la misericordia, fa misericordia eseguendo fedelmente e puntualmente la giustizia di Dio, perché la conosce come giustizia giustificante (cf. Rm 3,21-26).
Chiamato a scegliere tra la Legge e la misericordia, Gesù sceglie la misericordia senza contraddire la Legge. Quest’ultima è essenziale quale rivelazione della vocazione umana che Dio ci rivolge; ma una volta che il peccato ha infranto la Legge, a Dio resta solo la misericordia, ci insegna Gesù. Nessuna condanna, solo misericordia: qui sta la grandezza e l’unicità di Gesù. Infatti, ogni volta che egli ha incontrato un peccatore lo ha assolto dai suoi peccati e non ha mai praticato una giustizia punitiva. Ha anche pronunciato i “Guai!” in vista del giudizio, ma non ha mai castigato nessuno, perché sapeva ben distinguere tra la condanna del peccato e la misericordia verso il peccatore. ( E. Bianchi )
 
 

IV Domenica di Quaresima – Affermare che l’uomo è figlio di Dio è facile …è invece più faticoso dire che l’uomo è « mio fratello »

Figlio prodigoL’itinerario quaresimale che in questo anno liturgico C compiamo attraverso l’ascolto del vangelo secondo Luca è tutto teso all’annuncio della nostra conversione e della misericordia di Dio
… Di questa misericordia infinita si fa interprete Gesù con azioni, comportamenti, parole e parabole suscitate alcune volte da quanti non sono giunti a tale conoscenza di Dio, preferendo fermarsi al culto, ai sacrifici, alla liturgia come mezzi per avvicinarsi a lui (cf. Os 6,6). Continua a leggere

I concili nei secoli
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