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Vangelo Domeniche e Festività

Domenica delle Palme

crocifissione e deposizionegerusalemme rit mQuesta straordinaria narrazione della Passione di Gesù, per quanto la ascoltiamo e la leggiamo, ci trova sempre disposti a percepire la novità, a misurare la nostra impossibilità a relegarla fra le cose già sapute e scontate.
È come se ci fosse, in queste pagine, una permanente eccedenza sulla nostra capacità di intendere e una specie di rimando al futuro. Continua a leggere

V Domenica di Quaresima – L’uomo d’oggi ha bisogno di incontrare credenti credibili, impegnati a far propria la logica del “chicco di grano”: logica di donazione piena e gratuita, condivisione dei modi di pensare, giudicare e agire di Cristo.

chicco jVogliamo vedere Gesù» (Gv 12,21): è grande questa “pretesa”, espressa – dice l’evangelista – da “alcuni Greci”, gente pagana e timorata di Dio: pur senza far parte del popolo dell’Alleanza, sono persone che simpatizzavano per la religione di Mosè e dei profeti; venivano chiamati “uomini della soglia”, curiosi e attenti a capire di più e meglio.
Mescolati alla folla, salgono a Gerusalemme per celebrare la Pasqua ebraica.  «Vogliamo vedere Gesù»: come non pensare che proprio questo sia anche il desiderio – magari inespresso – che accomuna tanti nostri contemporanei?
Certo, non sono alla ricerca di prediche o di insegnamenti astratti su Gesù; chiedono, piuttosto, segni che lo mostrino.
È significativo che nella loro ricerca i Greci si rivolgano a uno degli apostoli, quindi a qualcuno che da parecchio tempo sta con Gesù.
A sua volta, l’uomo d’oggi ha bisogno di incontrare credenti credibili, che nella quotidianità si sentono impegnati a far propria la logica del “chicco di grano” (Gv 12,24) , che è logica di donazione piena e gratuita, condivisione dei modi di pensare, giudicare e agire di Cristo. (Monsignor Nunzio Galantino)
 
La  sua vita  sta volgendo alla fine, la morte è decretata dalle legittime autorità della comunità religiosa, della sua “chiesa”, ma Gesù riesce a vedere oltre la morte, anzi riesce a vedere nella sua morte una fecondità inaudita: “È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato”.
L’ora della morte in croce è l’ora della gloria, dell’epifania del suo amore vissuto all’estremo per gli uomini tutti (cf. Gv 13,1). […] Questa è l’ora decisiva, che inaugura un nuovo tempo per la fede, per l’adorazione di Dio (cf. Gv 4,21.23), per la salvezza dei morti e dei vivi (cf. Gv 5,25-29).
Per rivelarla, Gesù ricorre a una breve similitudine, pronunciata con grande autorità: “Amen, amen io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”.
Ecco la necessitas della passione e morte, della croce.
La sua morte è una semina, nella quale il seme deve cadere a terra, essere sotterrato, morire come seme e dare origine a una nuova pianta che moltiplica i semi nella spiga.
Così Gesù legge la propria morte e così ci rivela che anche per noi, uomini e donne alla sua sequela, diventa necessario morire, cadere a terra e anche scomparire per dare frutto. ( E. Bianchi )
 La società di oggi – ho avuto modo di rifletterci anche per ragioni personali – sembra costruita con lo scopo di dare spettacolo di efficienza, di felicità, di giovinezza, di salute, e tutto ciò che contraddice a questo quadro viene messo ai margini e occultato.
E così non ci rendiamo conto, almeno nella nostra esperienza quotidiana, degli ambiti in cui la vita è relegata solo perché deficiente e menomata.
Ci sono gli ospedali, immense città di dolore, ma non li incontriamo: per entrarci dobbiamo superare dei cancelli.
 Ci sono delle carceri in cui gli esseri umani vengono gettati quasi sempre perché diventino più rabbiosi contro il mondo contro cui hanno peccato (o si pensa che abbiano peccato) ma non ce ne accorgiamo.
Passiamo sotto le pareti delle carceri e ignoriamo l’umanità che c’è dentro.
Ci sono gli handicappati, ci sono i vecchi, ci sono i cimiteri, ma tutto questo è lontano dal nostro orizzonte.
L’intenzione che tesse lo spettacolo quotidiano della mia città è funzionale alla nostra euforia.
E questo arriva anche a modificare la nostra psicologia personale.
Noi viviamo come se si fosse immortali.
Il pensiero della morte è rifiutato come osceno.
L’oscenità vera non è più nel sesso, è nella morte.
Le immagini che la richiamano le abbiamo scrupolosamente cancellate.
 In questo potremmo cogliere anche un dato positivo della nostra natura e, al di la della nostra natura, dell’intenzione del Creatore.
Noi siamo per la vita, non per la morte.
Però arriviamo ad appiattire questa grande idea fondamentale del Vangelo sui dati concreti e provvisori della nostra esperienza di vita, relegando ai margini e rimovendo perfino dalle sfere della coscienza tutto ciò che ci contraddice.
Ebbene, la verità che ci viene dal Vangelo l’abbiamo sentita annunciare oggi, sia pure con linguaggio paradossale, che va colto secondo lo spirito: «chi ama la sua vita la perde, e chi odia la sua vita la salva.. solo il chicco di grano che muore porta frutto»…
Gesù non dice queste cose come può fare un predicatore che parla oggettivando la verità che egli presenta, ma parla di sé: egli è dinanzi alla sua morte.
Lo lambisce l’ammirazione anche di un mondo lontano: alcuni greci – quindi gente estranea al suo popolo – lo vogliono vedere.
E un uomo noto, ormai, la gloria lo lambisce ed egli reagisce dicendo ai suoi: E venuta l’ora della mia gloria……. ma la mia ora è quella della mia morte. La mia ora è quella della croce: quando sarò sulla croce allora attirerò tutti a me.
Egli dunque non è l’uomo dei successi, colui che entusiasma le folle: anzi, quando l’entusiasmo lo tocca fugge solo, dice il Vangelo.
 Teme la gloria che nasce dalle oscure convergenze degli istinti di conservazione con l’intento di appropriarsi di colui che possiede ogni potere.
Queste follie collettive sono del resto uno dei fenomeni più significativi del nostro tempo: l’alienazione delle folle che obiettivano in un personaggio le proprie esigenze frustrate e si trovano colmate di consolazione.
Gesù rifugge da questa gloria, che è di questo mondo, è del principe di questo mondo, ed indica come luogo di un appuntamento universale con gli uomini non il suo procedere nel mondo facendo miracoli, ma il suo essere crocifisso e ucciso.
Questo è il baricentro della visione che Cristo ha della storia umana, il punto d’incontro fra tutte le creature e il mistero di Dio [….].
La realtà del crocifisso non è destinata alle anime devote, è destinata alla dinamica della storia intera.
Per questo io so che nel negativo abita la presenza amorosa di Dio, che dove non vedo che Getsemani e croce c’è qualcuno che attende.
Quando ci troviamo impotenti di fronte ad una persona che sappiamo destinata a morire, quando il nostro amore si trova impotente di fronte all’onnipotenza opposta che è quella della morte, noi non abbiamo parole di consolazione devota da dire, abbiamo da far fronte con lacrime, gemiti e grida, come faceva Gesù, ad una morte che non vogliamo e la nostra preghiera ha quasi i toni di una bestemmia.
 Non è facile morire dolcemente.
Se amiamo la vita abbiamo la capacità di capire quanto sia negativa la morte.
 E non parlo soltanto del morire fisico ma di tutto ciò che dentro la storia individuale e collettiva si svolge senza significato, distaccato dalle dinamiche creative.
Tutto questo non è da cancellare, perché è il versante in cui l’amore di Dio crea la salvezza.
[…] Solo l’esperienza del dolore, del negativo, ci introduce nell’ascolto docile di un amore che non ha parole e concetti adatti alla piazza pubblica della storia che viviamo.
 In quell’ombra Qualcuno vi attende.
Vorrei dirlo a me, a voi, perché quando viene l’ora – ripeto le parole del Vangelo – non ce lo dimentichiamo.  ( Ernesto Balducci – “Ii mandorlo e il fuoco” vol 2 anno B)
 

III Domenica di Quaresima – Scacciando tutte le vittime destinate al sacrificio pasquale, Gesù di fatto impedisce la celebrazione della Pasqua secondo la Torah, dunque attenta al culto stesso.

Gesù scaccia i mercantiDopo averci invitato a seguire Gesù nel deserto e lì imparare da Lui a scegliere, mettendo al centro la Parola di Dio (prima domenica); dopo averci proposto la salita al Monte Tabor, dove fissare il volto trasfigurato di Cristo ed essere a nostra volta trasfigurati e capaci di trasfigurare volti e storie privi di luce (seconda domenica), la terza tappa dell’itinerario quaresimale ci presenta un altro luogo: il tempio. (Monsignor Nunzio Galantino)
Gesù, [ nel brano del vangelo di questa domenica ]salito a Gerusalemme… entra nel tempio ma constata che esso non è rispettato nella sua funzione; anzi, da luogo di culto a Dio è diventato luogo commerciale, sede di traffici “bancari”, mercato dove regna l’idolo del denaro.
Com’è possibile una tale perversione?
Eppure ciò avvenne per il secondo tempio, e continua ad avvenire anche in molti luoghi cristiani… Il mercato – allora di animali necessari per i sacrifici, oggi di oggetti sacri, devozionali – facilmente si installa dove accorre la gente, sempre lenta a credere ma facilmente religiosa.
Certo, quel mercato nell’area del tempio, esattamente nell’atrio riservato ai gojim, alle genti, perché potessero avvicinarsi e cercare il Dio vivente, procurava un’enorme ricchezza ai sacerdoti, agli inservienti del tempio e a tutta la città santa.
[…] Trovando questa realtà, subito Gesù “fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiavalute e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: ‘Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!’”.
[…] Il gesto compiuto da Gesù è scandaloso per i sacerdoti e per gli uomini religiosi della città santa.
Di fronte a un comportamento che contraddice la loro funzione e autorità, essi si chiedono chi sia mai questo Gesù venuto dalla Galilea. Che autorità ha? E se ce l’ha, dia un segno, mostri la sua autorizzazione ad agire in questo modo!
Scacciando tutte le vittime destinate al sacrificio pasquale, Gesù di fatto impedisce la celebrazione della Pasqua secondo la Torah, dunque attenta al culto stesso.
Di fronte a questa accusa, implicita nelle affermazioni degli uomini religiosi che a lui si rivolgono, egli risponde con parole enigmatiche, … “Distruggete questo santuario (naós) e in tre giorni lo rialzerò, lo farò risorgere”. Parole che sembrano inutili, perché quei giudei non comprendono e si domandano: “Questo santuario (naós) è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo rialzerai, lo farai risorgere?”.
In ogni caso, Gesù ormai ha posto il segno, ha detto la parola necessaria, quella che vuole il tempio non come casa di commercio ma come casa di Dio, e allora entra nel silenzio, in una tristezza indicibile.
Il tempio, luogo suo perché casa di Dio suo Padre, il tempio che avrebbe dovuto riconoscerlo come il Signore ….in realtà non lo riconosce, non lo accoglie. ( E. Bianchi )
 Giovanni nel  prologo del suo vangelo dichiara che Dio nessuno lo ha mai visto, solo il figlio ne è la rivelazione, e questa nuova rivelazione che Gesù fa di Dio è che lui è venuto a proporre e a portare una nuova relazione tra Dio e gli uomini che comporta la scomparsa di tutte le istituzioni dell’Antico Testamento, quelle importanti. E tra queste la più importante era il tempio, il santuario di Dio, dove i fedeli dovevano andare per offrire a Dio, un Dio che assorbiva le energie degli uomini.
 Gesù, eliminando il tempio, cambia il concetto di santuario.  
 Non c’è più bisogno per l’uomo di andare verso il tempio, dove non tutti potevano andare. ( C’erano determinate condizioni, alcuni erano esclusi. )
[…]  A questo santuario le persone non devono andare, ma è il santuario, l’uomo vivente che va verso di loro : va verso gli emarginati, e gli esclusi.
E l’evangelista Giovanni già dalle prime battute del suo brano porta a compimento questa nuova sensazionale, straordinaria rivelazione di Dio, un Dio che non è lontano dagli uomini, un Dio che addirittura è loro intimo.
 Nel capitolo 14 al versetto 23 Gesù dichiarerà: “Se uno mi ama osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”. L’uomo, il credente diventa la dimora di Dio.
[…]  Nell’Esodo Dio aveva posto la sua dimora in una tenda in mezzo al suo popolo e camminava con esso guidandolo verso la libertà.
 Poi Dio venne come sequestrato dalla casta sacerdotale, dall’istituzione religiosa, e relegato in un tempio dove non a tutti era possibile l’accesso e soprattutto si era ammessi a determinate condizioni, con determinati cerimoniali.
Con Gesù Dio ha abbandonato il tempio e, come scrive Giovanni nel suo prologo, ha posto la sua tenda in mezzo a noi, in noi…e ha iniziato un nuovo esodo dove ogni discepolo di Cristo diventa la dimora della divinità.
 L’uomo aveva sacralizzato Dio; mediante la comunicazione del suo Spirito, Dio ora sacralizza l’uomo.   […] La  sacralizzazione dell’uomo desacralizza tutto quello che prima veniva concepito come sacro.  Dio non è più una realtà esterna all’uomo e lontana da lui, ma interiore. E ha un nome. E questo nome è “Padre”.
Mentre la relazione con Dio aveva bisogno di mediatori, l’intimità con il padre rende le mediazioni superflue.  
Dio chiede dei sacerdoti incensanti, il Padre richiede dei figli assomiglianti. 
Quando l’uomo comprende tutto questo, cambia il rapporto con Dio, comprende che Dio non chiede che l’uomo viva per lui, ma che vivendo di lui, sia come lui. 
[…]  Vivere come Dio significa fare della propria vita un dono, amore totale.
Questo sarà poi l’unico comandamento che Gesù trasmetterà. 
Compiendo questo l’uomo sperimenta che l’adesione a Dio non lo diminuisce, ma lo potenzia.  E l’uomo sperimenta cosa significa essere il santuario di Dio.  ( fr Alberto Maggi )

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